Il ciclo del castagno
Il ciclo del castagno
Un altro prodotto essenziale per la sopravvivenza delle popolazioni fu il castagno, sia per il suo legno sia per i suoi deliziosi frutti. Questi alberi raggiunsero dimensioni addirittura mastodontiche: ne sussiste un esemplare, chiamato arbu grossu, che supera gli undici metri di circonferenza, con rami lunghissimi, solo in piccola parte rinsecchiti.
Mediamente pesante, compatto ed elastico, il legno di castagno, oltre che per riscaldarsi durante l’inverno, era utilizzato per la costruzione di attrezzi agricoli e di falegnameria.
Le castagne furono per secoli un alimento fondamentale per il sostentamento della popolazione, in particolare di quella più povera. A tale proposito basti ricordare che è divenuto proverbiale il detto: “Ā matin castagne, a megiudì pestümi, â sèia castagnùn”, cioè “Al mattino castagne, a mezzogiorno i residui della pestatura delle castagne, alla sera castagne secche di seconda scelta”. I pastori mettevano un pugno di questi frutti in tasca, per poi mangiarli sull’alpeggio nel corso della giornata. Le castagne appena fresche si cuocevano sia bollite con la buccia (e ferüe) sia senza buccia (i ranzin) ma soprattutto arrostite (e paèlloe o rustìe): vedere le padelle bucherellate agitate in modo da far saltare le castagne per impedire che si brucino, è uno spettacolo che ravviva gli animi. La farina di castagne, posta in un piatto di legno (ve n’è uno nel museo), era utilizzata poi per la preparazione di tagliatelle, ottime se condite con il pesto, di gnocchi dolci (i crüsetti), di bügaeli e meiőtti immersi nel latte e, dulcis in fundo, del saporito castagnaccio. Oltre che per gli uomini, questi frutti costituivano nutrimento per gli animali e per la terra stessa. Le castagne appartenevano al proprietario del terreno dove cadevano; per impedire che rotolassero da una fascia all’altra, si costruivano degli avvallamenti chiamati termegna. Gli statuti comunali stabilivano, all’articolo 39, severe pene per chi raccoglieva castagne sui fondi altrui e per i proprietari di bestie (fatta eccezione per i buoi e le vacche da lavoro) sorprese a transitare attraverso i castagneti o semplicemente sotto un albero.
Raccolte con l’uso di un bastone o, meglio, di un piccolo rastrello e messe in sacchetto di stoffa applicato alla vita tramite un legaccio, non appena essicate erano poste in un robusto sacco (a sàccua), battuto ritmicamente e piuttosto violentemente su un ceppo di legno, chiamato pistavue. Quale unità di misura si usava la pistagna, piccolo cesto conico utilizzato anche per deporvi le posate in cucina.
Nella teca che conserva oggetti del ciclo del castagno è posto uno stampo, utilizzato per preparare le ostie (e nègie) magari apponendovi sopra un simbolo o un disegno.
Tra due di queste verranno poste, all’avvicinarsi delle festività natalizie, nocciole ed anche qualche pezzetto di noci amalgamate con il miele. Si tratta dei caratteristici turrun, sovente regali particolarmente apprezzati.