La cantina e il vino
La cantina e il vino
I filari delle viti hanno occupato fasce sovente strettissime, con una serie di lavori incredibili per ricavarne certamente un buon vino, per lo più rosso, ma con le piante troppo sottoposte ai capricci del tempo, con grandinate, siccità, insetti di ogni genere a falcidiarle, rendendone inutili i sacrifici. Lo spettacolo al quale si assisteva in autunno, quando i muli percorrevano le stradine acciottolate o in terra battuta, con le loro salmate d’uva, la gioia e la soddisfazione che si leggeva sui volti rugosi dei contadini nel constatare il risultato ottenuto rallegravano il cuore.
E quando potevano bersi un gotu del succo della loro uva potevano finalmente abbandonarsi a un sorriso. Il vino dava gioia e sostentamento, riscaldando ed aiutando a superare gli scoramenti e le delusioni della vita.
I viticultori erano veramente tanti, con i tralci a spingersi anche fino ai mille metri, colorando in autunno di magnifici colori le montagne e le colline. Un elenco affisso vicino ad una vetrina riporta le denunce della vendemmia del 1939, nella settimana dal 13 al 20 novembre: erano ancora 148 coloro che rendevano noti i risultati della loro vinificazione. Il dato è piuttosto significativo, stante il grave spopolamento in atto, con il pur doloroso trasferimento verso le località marinare e verso la Francia, terra che ha ospitato un incredibile numero di trioresi.
Soffietti e macchine per lo zolfo di diverse misure e solfarine, usate per combattere le malattie infestanti, sono accanto a bottiglie, fiaschi, borracce, zucche, imbuti, cavatappi, spine, cesoie, raschietti, verine e tappatrici per imbottigliare. Non mancano un bel termometro di legno per la misurazione della gradazione del vino, misurini e decalitri in rame ed un raro imbuto rettangolare in legno, u zemba(r)u. In fondo alla sala sono alcune botti, contenitori per il trasporto dell’uva e torchi.